sabato 14 dicembre 2013

Anonimato

Storto, sfasciato
L’uomo che ha sbagliato
Se ne va solo
Su marciapiedi sbagliati
Lungo strade sbagliate
Guarda
Ad ogni passo sbagliato
Attraverso i vetri
Il suo riflesso
Giusto
E riprende a camminare
Sbieco
Scaleno
Disallineato
Vede camerieri sbagliati
Portare ordinazioni sbagliate
A clienti sbagliati
Ad ogni passo conta
Un fallimento scontato
Ma sbaglia a contare
E ricomincia
Sente risate sbagliate
Di ragazze sbagliate
Coi denti sbagliati
Poi soffre
Per le cose sbagliate
Per i discorsi perduti
Per le note stonate
Gli amori non amati
I pezzi di sbaglio
Gli tagliano il cuore
In tanti pezzi
Sbagliati
Una musica di una orchestra
Sale da una via là vicino
Guarda i semafori rossi
I sensi vietati
Vorrebbe raddrizzare le stelle
Metterle in file ordinate
L’uomo sbagliato si piega
Aspira un po’ di fumo sbagliato
Beve un altro sorso
Di un cocktail sbagliato
Passano persone
Passano cose
La musica finisce
Davanti a una macchina
In sosta vietata
L’uomo sbagliato pensa
Il mondo non dovrebbe girare così
I bambini giocano
Ai giochi che ha scordato
Secondo regole inventate
Che lui non sa più inventare
Giusto
Sbagliato
Vicino
Lontano
Fuori
Dentro
Mi interessa
Non mi interessa
Star male
Guarda un presepe in un portone
Manca il bue
Ci hanno messo un cane
Il cane guarda l’uomo
E gli dice
Credimi è pur sempre in lavoro
L’uomo guarda il cane e gli esce
Il solito sorriso forzato
Aspira ancora del fumo
Ha freddo alla mano sinistra
Passano due distinti signori
Vestiti di nero
Parlano di maleducazione
Di intelligenza
Di cose da distinti signori
Con i cappotti neri
Tempo di foglie gialle
Tempo di parcheggiatori annoiati
Tempo di far finta di niente
Di attraversare la strada
Escono gli spettatori
Da un piccolo teatro
Lo spettacolo è stato banale
Lo spettacolo è sempre banale
L’uomo spera di sbagliarsi
Mentre sale le scale
L’uomo spera ancora di sbagliarsi
Mentre scrive in perfetto italiano
Non volevo far male
Se ho sbagliato
Scusate

domenica 1 dicembre 2013

Il muro rosa

Da bambino il mio letto era appoggiato ad un muro rosa. Era un bel muro, di un colore allegro. Era l’epoca in cui le persone coloravano i muri di casa con i colori che piacevano loro, e non solo con il bianco. Il muro rosa era la direzione in cui mi volgevo nei momenti tristi. Era la superficie che avrei voluto attraversare per raggiungere quello che mi mancava. Quel muro è stato madre per tante lacrime solitarie, fratello, confessore, giudice, avvocato. Non si è mai lasciato oltrepassare, non mi ha mai fatto arrivare ai miei sogni, non ha mai fatto passare i miei incubi. Mi ha protetto e mi ha isolato. Quando mi giravo e vedevo quel muro rosa, irregolare, complicato, lo studiavo anche per ore. E lui studiava me. A volte appoggiavo la mano sulla sua superficie fredda, e immaginavo che un giorno sarei scomparso in quelle crepe, in quel mondo di irregolarità e confusione apparente. Ma non è mai successo. Un giorno mi sono alzato da quel letto, sono andato via, lontano da quella stanza, da quella casa, da quel paese. Tutto è svanito, case, persone, tempi, anche io non sono più lo stesso. Ma il muro rosa è rimasto lì, dentro di me, sempre uguale, sempre indifferente, sempre partecipe, sempre complicato, sempre freddo, sempre pronto a vedermi voltare verso di lui con gli occhi pieni di lacrime.